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STORIA DIGITALE: SAPERE STORICO E INSEGNAMENTO DELLA STORIA

GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA

Marzo 21, 2021
Dalla Redazione

CALENDARIO CIVILE

IL RACCONTO DI UN POETA E NON SOLO: CARLO RAO
Oggi è il primo giorno di Primavera e singolarmente è anche la Giornata mondiale della poesia, adottata dall’Unesco nel 1999.
Nello stesso giorno del 1931 nasceva Alda Merina che così scriveva in alcuni suoi versi
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta…
Chissà che l’arrivo di questa stagione e il ricorso alla poesia non possano aiutarci ad alleggerire il pesante fardello di questi mesi.
Ma che cos’è la poesia? Come nasce nella mente di chi si fa carico del peso e della fatica lieve di portare alla luce il verso di una poesia?
Mesi fa mi venne in mente di porre queste domande ad un poeta, un amico, Carlo Rao, avendo cura di raccogliere i suoi pensieri che qui pubblico per la prima volta.
Isabelle
Ho un buon profumo
E bocca ardente di magnolia.
Che importa
Se mio padre era un cartomante?
Se mi credi,
per un fremito d’amore ti darò – oh sì – l’oblio.
Di Carlo Rao, Versi tratti da oh, anatole!, All’antico mercato saraceno, Treviso, 1988

Giuseppe. La tua vita è piena di esperienze di natura artistica (poesia, pittura, teatro..) e nel settore dell’istruzione e della formazione. Difficile decidere da dove partire per questo racconto. Scelgo però di iniziare a parlare della tua adolescenza. Qual era il tuo rapporto con la poesia, la letteratura e l’arte più in generale. Che cosa o chi ti ha spinto in questa direzione?
Carlo. L’esperienza curiosa, se vuoi anche triste della mia storia liceale. Sin da ragazzo, spinto dai miei fratelli e dai miei genitori, mi piaceva consultare la Storia della letteratura di Natalino Sapegno (se non ricordo male, nove volumi), leggere la poesia contemporanea (amavo Gozzano, e l’allora giovane Caproni). In particolare, ero attratto dalla Beat Generation (circolavano già le prime antologie con i testi di Ginsberg, Burroughs, Corso, Bukowski, Kerouac.
In terza liceo avevo una professoressa (di cui per correttezza non farò il nome ma che dopo quasi sessanta anni ricordo nei minimi dettagli del viso e dello sguardo), che nei compiti di italiano mi dava sistematicamente 3.
Ricordo che ad un ricevimento genitori,, a mio padre disse che “ero buono solo per lavorare i campi”.
Non tollerava le divagazioni sul ‘900, sulla letteratura straniera, sulle indagini dei critici contemporanei…Fui perciò respinto alla maturità una prima volta, poi respinto una seconda volta e, poiché in quegli anni non si poteva ripetere l’esame più di due volte, grazie al sostegno dei miei genitori, soprattutto di mia madre che nonostante gli esiti, caparbiamente, credeva in me e nelle mie capacità, sostenni l’esame una terza volta da privatista. Finalmente ce la feci. Da quella esperienza, per così dire traumatica, mi ripresi…imparai la costanza nello studio, della poesia in particolare, e si rafforzò la curiosità… poi ci fu la fortuna, il caso…mi iscrissi alla facoltà di lettere e il primo giorno di lezione al corso di glottologia il professor Ambrosini chiese ai corsisti: qual è la capitale d’Italia? Io fra gli altri risposi Roma probabilmente arrotando la r seguita dalla o in un certo modo. Bene, disse il professore, lei venga in istituto nel mio ufficio.
Proprio in quel momento entrò nell’aula Nino Buttitta, docente di etnologia, che incuriosito mi chiese “Come mai lei qui ha dei compagni di corso che conosce, che l’hanno salutata e che già sono al terzo anno mentre lei, a quanto pare, è solo al primo giorno di università? Raccontai la mia storia delle bocciature comprese le mie passioni letterarie.
Benissimo, disse, da domani venga anche nel mio istituto.
Mi diedero delle ricerche.. il professor Ambrosini proprio su Gozzano e gli scarti linguistici, il professor Buttitta su Franz Boas a livello di antropologia.
Dopo qualche mese, Nino Buttitta mi invitò a Bagheria dove mi fece conoscere il padre, Ignazio Buttitta. Questa fu un’esperienza che non dimenticherò mai; per tre anni trascorsi lunghi periodi in casa Buttitta. Ignazio era una persona straordinaria, un poeta incredibile… grazie a Ignazio ho avuto la possibilità di conoscere molti intellettuali del tempo, in particolare, Sciascia, il giovane Evtušenko,, l’allora ragazza Dacia Maraini. Fu per me una decisa svolta verso il contemporaneo, verso l’assimilazione di quelli che sono i vari processi creativi della poesia italiana ed estera. Ricordo Buttitta con sincera emozione…. Porto con me come un dono prezioso l’abbraccio ed il sorriso di Ignazio il giorno della discussione nel 1970 della mia tesi laurea “Società e letteratura nella lirica dialettale di Ignazio Buttitta”.
Giuseppe. In anni successivi hai lasciato Palermo e la Sicilia per iniziare ad insegnare Italiano nelle scuole superiori di Treviso. Il salto di ambiente non deve essere stato facile. Che funzione ha avuto il nuovo ambiente, l’attività di docente che hai intrapreso, la scuola, gli studenti nell’accompagnare il tuo istinto artistico?
Carlo. Esperienza meravigliosa… Treviso è una città bellissima…. Ci vivo da cinquanta anni e la amo per tutte le opportunità che ha saputo regalarmi, così come continuo ad amare la Sicilia, mia terra-madre, e il mio piccolo paese d’origine Cerda ove ho avviato le mie prime scommesse…
Ma ritorno allo specifico della tua domanda. Ricordo che il primo anno insegnavo al triennio serale a studenti lavoratori. Era l’inizio degli anni settanta, si respirava ancora il ‘68, il bisogno della provocazione ma anche l’urgenza di una didattica che, finalmente, andasse al di là dei vecchi programmi tradizionali, che favorisse la creatività, che rompesse gli schemi tradizionali. E’, quindi, stata un’esperienza intensa perché trovavo sostegno in questi studenti adulti che addirittura mi incoraggiavano ad andare oltre… ad esempio, si poteva parlare di poesia sonora, di poesia visiva, di linguaggi che ampliassero il senso comune e quindi i vari generi anche della poesia visti non soltanto come esperienza da assimilare dai libri ma come riproposizione di un linguaggio che tutti possono sperimentare, amare…rigenerando, ristrutturando, naturalmente secondo le possibilità di ciascun allievo.
Giuseppe. Da quando hai iniziato a considerarti un artista, come si può raccontare questo passaggio e che significato ha avuto per te questa attribuzione di identità sociale?
Carlo. Non mi sono mai sentito un artista, è un’etichetta che mi imbarazza… mi piace piuttosto dire “appassionato” alla ricerca all’interno del linguaggio, successivamente del colore, in tutte le forme possibili, non dico come trasgressione, ma come ri-generazione, come gusto della analisi, piacere della creatività.
Mi sono sentito piuttosto che un artista un uomo (spero di non esagerare nel dire un intellettuale), che si è quantomeno sforzato di ricercare, di progettare calendari, itinerari, percorsi di indagine e di studio, pretesti creativi, possibilmente per farli diventare nuclei da rivisitare in continuazione per proporre costantemente nuove ipotesi… quindi preferisco semplicemente definirmi come un intellettuale mai fermo, alla ricerca sempre di nuove strutture del dire, del raccontare, dell’indagare, dell’analizzare.
Giuseppe. Gli anni di cui stiamo parlando erano anche gli anni della contestazione e dell’impegno sociale e politico. Come hai vissuto questa stagione? Come si conciliava in te il bisogno di esprimerti attraverso la letteratura e poi l’arte ed essere al tempo stesso attore delle vicende del mondo intorno a te?
Carlo. Io penso che un elemento importante sia stato la creatività, quindi stimolare gli studenti alla creatività. Faccio degli esempi concreti. Ho un ricordo. Quando leggevo i futuristi in classe, da Marinetti a De Pero mi accorgevo che i ragazzi erano i primi a restare stupiti. Voglio dire che l’invito, attraverso questi autori, a generare linguaggi, a liberarsi dalla sintassi tradizionale per ampliare il patrimonio linguistico sul piano dei sostantivi, degli aggettivi, dei verbi come “infiniti” e quindi fare in modo che anche i ragazzini che avevano delle grosse difficoltà morfo-sintattiche riuscissero da un lato ad ampliare le strutture segniche legate alla lingua e nello stesso tempo cominciassero ad oltrepassare i confini del “linguaggio tradizionale per ri-generare nuove forme espressive. Quindi, in prima battuta, l’ascolto. La comprensione dei vari significanti possibili, veicoli non di un unico significato ma, potenzialmente nel gioco della scomposizione e ricomposizione di infiniti significati, dare perciò ai simboli un valore di esperienza, fare toccare il linguaggio, anche il più astratto, ricorrendo alle forme di generazione di stimoli attraverso i micro segni linguistici per portare i ragazzi all’ampliamento semantico del linguaggio.
Giuseppe. Fermiamoci all’ambito poetico. Dacci una definizione di poesia?
Carlo. La poesia è un ‘territorio aperto’, non è sentimento gratuito o ricerca ritmica di cuore che fa rima con amore, non è languore da bigliettino dei vecchi baci Perugina… la poesia è scommessa, richiede studio, conoscenza, elaborazione, progettualità… può anche essere ricerca ritmica ma all’interno di un processo più ampio…. ha generi molteplici di espressione, dalla poesia che racconta alla poesia che rompe il linguaggio per creare altri significati, c’è la poesia della memoria, la poesia dell’oltraggio linguistico, la poesia visiva, la poesia sonora, quindi ci sono territori vastissimi di poesia, in ogni caso la poesia è sempre ciò che va oltre, è ciò che racconta per dire qualcos’altro, si affida al linguaggio che è sempre polivalente…
Giuseppe. Scegli qualche autore e se vuoi anche qualche suo verso che ti hanno indicato la strada che volevi percorrere come poeta.
Carlo. Da ragazzo ero innamorato e continuo ad essere innamorato della poesia di Ignazio Buttitta che considero il mio primo maestro. Amavo Calogero Rasa, un eccellente poeta di Cerda e poi, come ho sopra ricordato, Caproni, la beat Generation. Quindi, dagli anni ‘80 in poi la scoperta dei transmentali (in particolare, Kručënych, Majakovskij, Severjanin, Burliuk, Mandelstam), e poi Andrea Zanzotto, Giovanni Giudici, Dylan Thomas, Wystan Hugh Auden, Pedro Salinas, Costantino Kavafis… .quello che voglio dire che la poesia è infinita e sono moltissimi gli autori che ho amato. Se devo dire quella che mi ha segnato in modo particolare probabilmente in tempi anche non lontani è, in particolare, la poesia giapponese e, quindi, tutti i maestri dell’ haiku. Nell’ultimo ventennio mi sono letteralmente innamorato di tutta la produzione poetica di Wislawa Szymborka. Struggente… la più grande poetessa, secondo me, del Novecento. Per tornare ai versi che mi rimangono come segno particolare, da ragazzo “parro cu ttia…” di Buttitta, “parlo con te” che ho sempre visto come il desiderio di parlare con un ‘tu’ indistinto, anche qui per andare oltre. Oppure dei versi che mi hanno sempre colpito è quella metafora che si trova nei primi versi del Bombardamento di Adrianopoli: “o-gni-5 se-con-di d’as-se-dio sven-trare…” che non vedo solo come un’onomatopea, un segno di lotta e di battaglia cruenta ma un voler cercare e individuare all’interno della parola un di più, quello ‘sventrare’ non lo vedo come un’apocalisse ma come un tentativo di rubare al vocabolario e quindi alla lingua ogni possibile significato, anzi, individuare una serie di significanti per poterli a loro volta bombardare, sventrare, cioè mangiare per arrivare a qualcosa di nuovo.
Giuseppe. E la tua poesia come la descriveresti?
Carlo. La poesia è legata alle varie stagioni della mia esistenza, all’inizio la poesia che tenta di narrare. Ovviamente quando ero ragazzo era una poesia che tentava di indagare all’interno delle esperienze del tempo, perché no?, dell’amore ma sempre nel tentativo di andare oltre l’esperienza individuale per raccontare storie che fossero rappresentative di un tessuto sociale. Poi, è ovvio, ci sono state le varie trasformazioni sino ad arrivare all’annullamento del lingua italiana per arrivare, in tempi recenti all’elaborazione di una lingua nuova che fosse una sorta di mix delle lingue che mi hanno accompagnato durante la mia esistenza, da quelle scolastiche a quelle parlate, il latino, il dialetto siciliano, il dialetto veneto, il francese, lo spagnolo e che nello stesso tempo rispondesse a quelle esigenze degli ultimi trent’anni della mia esistenza in cui teatro e drammaturgia, scrittura creativa e ricerca cromatica sono diventate un tutt’uno, un unicum essenziale sia dal punto di vista creativo che esistenziale.
Giuseppe. Scegli qualche tuo verso che meglio di altri la rappresenta.
Carlo. Dal mio poemetto Stazione dei migranti (pubblicato una decina d’anni fa, nell’antologica In forma di parole) alcuni versi che credo più mi rappresentano…
” me joco tout./ Anco kesta cammesella/ et le puisielle ammorose/ abscondute in lo cassettiello./ Tout o rien./ Facite Vuje, Monsieur!…”. Come dire, tutto o niente, inferno o paradiso, no limbo o incertezza…
Giuseppe. Parola – colore un binomio che attraversa la tua ispirazione poetica e artistica. Qual è il rapporto che tu hai intessuto nel tempo con questi due elementi con i quali ti sei dovuto incontrare-scontrare, e ancora oggi ti accade, per esprimerti.
Carlo. La parola oggi per me ha soprattutto un valore drammaturgico, di rappresentazione scenica. Poi, dipingo e scrivo, scrivo e dipingo. Nel gesto della mano, nella ricerca del colore c’è la continua ricerca del cromatismo come ‘figura poetica’, come simbologia ed equilibrio di freddo-caldo, di ciò che anche qui rinvia ad altro e perciò un percorso in continuità…non so dire le differenze dei due territori perché per me anche la pittura, la ricerca cromatica o dei materiali fra i più vari o a volte introvabili ha lo stesso valore che per me ha avuto la ricerca della parola impossibile, che va oltre, che si rinnova e che non si stanca mai di raccontare. È questo un binomio che sento mio e che mi fa vivere.
Giuseppe. Parola si fa teatro. Un altro passaggio della tua esperienza di artista. A partire dagli anni ‘90 sei entrato nel mondo del teatro. Si è trattato di un tradimento della poesia e un bisogno espressivo a te ignoto o cos’altro…
Carlo. No, nessun tradimento, ogni forma di creatività è magia, è spaesamento. Allora, quando parlo di teatro, in realtà, nell’esperienza con Pagliai e la Gassman con cui ho fatto tante tournée, io ho sempre scritto e rappresentato teatro della poesia o, quanto meno, adattamenti di testi poetici. Con questo voglio dire che anche recitare è stata una riscrittura del testo. Una ri-generazione della battuta, del segno linguistico, così come la poesia e, se vuoi, come la pittura se è vero che credo che nel colore o nell’assembramento cromatico sento lo stesso percorso di pausazione, di respirazione, di creazione ritmica, di substantia generativa che penso sia la forma più completa di creatività.

Notizie biografiche
Carlo Rao (1945) è nato a Cerda e vive a Treviso ove ha insegnato sino al 1989
Coautore testi antologici letterari per la scuola. Lasciato l’insegnamento si dedica a tempo pieno all’aggiornamento per i docenti, alla scrittura e al teatro.
Ha tenuto varie tournée teatrali con Paola Gassman e Ugo Pagliai con i quali collabora ed opera dal 1990.
E’ stato fondatore e direttore culturale (con Ugo Pagliai, direttore artistico) di “Aperta Scena” (sei Edizioni 1995-2000) con la realizzazione di stages e spettacoli di Vittorio Gassman, Gigi Proietti, Pamela Villoresi, Arnoldo Foà, Michele Placido.
Autore di opere teatrali, ha tradotto ed adattato per il teatro testi, in molti casi inediti in Italia, di Edmond Jabès, Wislawa Szymborska, René Depestre, Federico Garcia Lorca, Wystan Auden, Carmen Yanez, Pedro Salinas.
Ha tenuto vari corsi di drammaturgia e laboratori di animazione teatrale in università italiane ed estere.
La sua ricerca poetico/teatrale ha ricevuto numerosi apprezzamenti critici e riconoscimenti significativi tra cui, nel 1979 il Premio Molise (giuria presieduta da Giorgio Caproni); nel 1980 il Premio Ceva (giuria presieduta da Gian Luigi Beccaria); nel 1981, il Premio David (giuria presieduta da Mario Sansone).
Non ha mai smesso la sua attività artistica esponendo i suoi quadri in numerose mostre personali e collettive.
(Per altre notizie e approfondimenti su Carlo Rao segui il link http://www.carlorao.it/siteon/index.php)

 

 

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