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STORIA DIGITALE: SAPERE STORICO E INSEGNAMENTO DELLA STORIA

STATI GENERALI: UN FATTO, UN FATTO STORICO O UN EVENTO?

Giugno 16, 2020
Dalla Redazione

PUBLIC HISTORY

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In questi giorni si discute diffusamente di Stati generali, quelli che il governo italiano ha promosso a Roma nelle meravigliosa Villa Doria Pamphili, alla presenza fisica o virtuale di autorità italiane ed europee, che dovranno discutere per più giorni sulle più opportune soluzioni per uscire dalla crisi che affligge l’Italia e non solo. Quello che è stato definito un evento.

Ma non è di politica che intendo parlare, piuttosto dell’uso linguistico della parola evento usata per questa occasione. Con tale termine il vocabolario Treccani definisce in senso storico un “avvenimento, caso, fatto che è avvenuto o che potrà avvenire” o secondo altre accezioni “manifestazioni di grande importanza che attirino il pubblico”. Altri significati del termine riguardano ambiti più specialistici come il diritto, la fisica o la scienza probabilistica.

Ho letto con interesse un articolo di Alessandro Campi apparso su “Il Messaggero” (Roma) dell’11 giugno 2020 e disponibile ora in rete sul sito dell’Istituto di Politica.

L’autore, docente presso l‘Università di Perugia, riferendosi agli Stati generali, ci fa riflettere su un diverso utilizzo di questo termine evento, distinguendolo dal termine fatto.

Secondo Alessandro Campi eventi sono “avvenimenti o fatti costruiti ad hoc, che per definizione esauriscono la loro funzione e il loro significato nel momento stesso in cui si svolgono e si realizzano… L’evento non è un grande fatto, ma un fatto reso grande – cioè momentaneamente importante – dalla macchina organizzativa e propagandistica che lo alimenta, o dalla finalità strumentale che lo determina.”

Il fatto, invece, andrebbe inteso come “le cose che accadono e che non sempre dipendono dalla nostra volontà e dalle nostre azioni: sono situazioni o accadimenti che una volta realizzatisi non possono essere più modificati. Sono soprattutto qualcosa di tangibile, concreto e reale: più sono clamorosi e significativi e più sono destinati a produrre effetti (e ad essere ricordati)”.

Per questo motivo gli Stati generali, convocati dal governo, rappresenterebbero un evento e non un fatto. Si può essere più o meno d’accordo sulle conclusioni alle quali arriva l’articolista ma occorre qualche precisazione.

La prima riguarda il concetto di fatto. E’ sufficiente affermare che il carattere clamoroso e significativo di un fatto determini effetti tali da indurci a considerare quell’accadimento un fatto storico da non dimenticare?

Dall’inizio del Novecento gli storici che si sono interrogati sulla natura del fatto storico sono arrivati a conclusioni diverse rispetto agli storici positivisti del XIX secolo. Questi ultimi, nel tentativo di legittimare la storia come scienza, alla pari con le cosiddette scienze dure o esatte, assegnavano alla conoscenza storica il compito di appurare la verità attraverso la ricerca dei fatti accertabili con precisione e rigore.

Gli storici del nuovo secolo, in particolare quelli della scuola francese delle Annales, confutando questa impostazione positivistica, concludevano invece che i fatti e quindi anche quelli storici, non vengono assunti in modo diretto, sono gli storici

lavoratori pazienti che si susseguono dandosi il cambio [che] li fabbricano lentamente e faticosamente grazie a migliaia di osservazioni giudiziosamente interrogate e a dati estratti, anch’essi laboriosamente, da documenti molteplici”. (L. Febvre, Combats pour l’histoire, A.Colin, Paris, 1953, p. 22.)

In conclusione leggere un fatto storico significa interpretarlo e quindi lavorarci su trasformandolo in fatto storiografico, disponibile per la comunità di studiosi che eventualmente decideranno di assumerlo come oggetto di analisi.

Ma torniamo al presente. Dunque gli Stati generali di cui si parla in questi giorni rappresentano un semplice fatto o possono essere definiti un fatto storico? Per adesso non lo possiamo sapere ma non possiamo neanche smentirlo. Lo diranno in futuro gli storici con le loro ricerche.

La seconda precisazione riguarda un nuovo elemento introdotto da Alessandro Campo nel suo articolo: gli Stati generali di cui stiamo parlando non sono un fatto, tanto meno un fatto storico, rappresentano piuttosto un evento “vale a dire una mera rappresentazione: non politica simbolica come l’abbiamo conosciuta nel Novecento, secolo delle ideologie, ma pura messa in scena secondo un format finalizzato a strappare applausi.”

L’articolista porta avanti il suo ragionamento descrivendo questa propensione a “creare eventi, piccoli o grandi, reali o virtuali, in grado di catturare l’attenzione dei cittadini-elettori” come la preoccupazione maggiore dei politici italiani di maggioranza ma anche di minoranza; portando esempi (i bagni di folla di Salvini o le esternazioni sui social ma anche le conferenze della Protezione civile o anche i flash mob delle Sardine) e distinguendo questo far politica attraverso eventi dalla spettacolarizzazione della politica, inaugurata negli anni ’80 da Craxi e sviluppata magistralmente da Berlusconi.

Sono riflessioni interessanti che inducono chi si occuperà di ricerca storica nei prossimi anni a decidere se questi eventi di cui si è detto dovranno entrare a far parte della ricostruzione storica e in che modo, con quali criteri e con quali attribuzioni di senso storico.

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