IL FATTO STORICO
Introduzione
Il fatto storico è al centro della terza lezione di Insegnare storia. Che cos’è un fatto storico? Quali sono i criteri che lo distinguono da altri fatti del passato? Quel è la sua struttura? Come lo si configura in relazione ai contesti di riferimento? Qual è il rapporto tra il senso attribuito a quel fatto storico e il rapporto che lo storico ha con il suo presente?
Sono queste alcune delle domande alle quali l’autore cerca di rispondere in questa lezione con l’intento di creare una relazione tra le questioni di metodologia storica affrontate e la storia scolastica.
Altri storici si sono interessati di metodologia affrontando questi temi, più ristretto il numero degli studiosi che hanno cercato di mettere in relazione la metodologia storica con l’insegnamento della storia.
Il testo è a cura di Ivo Mattozzi
Buona lettura.
- L’unità di analisi della storiografia
Grazie al concetto di passato, lo storico sa che deve istituire un fatto accaduto e che ha lasciato tracce come oggetto del suo processo di costruzione della conoscenza. Egli sa che non esiste l’oggetto dell’attività conoscitiva prima che egli lo abbia costruito. La conoscenza si compone, infatti, in primo luogo della costruzione dell’oggetto e in secondo luogo dell’analisi e interpretazione del fatto ricostruito. L’analisi e l’interpretazione sono volte a dare al fatto storico significati mediante la messa in relazione con altri fatti, a problematizzarlo e a spiegarlo. Lo storico può prendere le sue decisioni in merito al fatto storico grazie alle sue conoscenze extrafonti e al suo sapere sui processi storici e grazie al rapporto cognitivo che può stabilire tra il fatto storico ed il presente. La ricerca dello storico e le sue operazioni mentali sono guidate dal concetto di fatto storico e dalle configurazioni che egli intende dargli.
Le operazioni conoscitive dello storico dipendono, dunque, oltre che dal concetto di passato anche dal concetto correlato di fatto storico. Anzi esso è il perno attorno al quale si dispongono funzionalmente gli altri operatori cognitivi.
La necessità che ha lo storico di costruire l’oggetto della conoscenza non è diversa da quella che obbliga i ricercatori di altri campi scientifici. Infatti ogni disciplina ha bisogno di costituire le proprie unità di analisi. Costituire unità di analisi vuol dire circoscrivere aspetti della realtà rispetto alla totalità del reale in modo da renderla accessibile all’analisi secondo i metodi e gli strumenti propri della disciplina.
In ogni disciplina si passa da un dato ad un costruito. Il dato è il complesso della realtà. Il costruito è il risultato di operazioni di selezione di informazioni e di organizzazione di esse. Dunque ogni disciplina costituisce le sue unità di analisi delimitando su uno “sfondo” una “figura”. Da tale delimitazione risulta un “fatto” come oggetto di conoscenza disciplinare: il “fatto sociale”, il “fatto fisico”, il “fatto biologico”, il “fatto antropologico”…
Per lo storico la necessità di costruire innanzitutto il fatto storico è, però, più imperiosa poiché la realtà del passato a differenza della realtà naturale o della realtà sociale non è compresente con lo studioso, è inesistente. Non esistono fatti storici in “natura”, prima che ci siano decisioni di costituirli e processi di costruzione della conoscenza realizzati da parte degli storici.
- Fatto reale e fatto storico
Qual è l’unità di analisi per la storiografia? Un qualunque fatto del passato? Un fatto storico già dato? Una realtà già nota? O è un costrutto?
La risposta che è stata data per tanto tempo in campo storiografico e che si è trasferita in ambito scolastico – dove si trova ancora implicitamente espressa nei concetti dei programmi di storia o formulata dagli insegnanti e dagli studenti – è che esista già un catalogo di fatti del passato istituiti in fatti storici. Sono quelli che si trovano denominati e ricostruiti nella storia generale. Inoltre, il fatto storico è considerato un dato la cui articolazione e significazione sono oggettivamente fissati.
Se condividesse tale risposta lo storico non potrebbe fare altro che tentare di modificare le conoscenze di fatti storici già noti. La sua libertà di “invenzione” dei fatti sarebbe messa in una camicia di forza. Invece, oggi, lo storico ha una libertà di decidere rispetto agli oggetti della sua ricerca molto più ampia grazie ad una concettualizzazione nuova di “fatto storico”.
Possiamo considerare ogni accadimento o azione umana o complesso di accadimenti e/o azioni umane, che abbiano un inizio e una fine, come una unità fattuale che si compie in un intervallo di tempo finito e in uno spazio individuabile. Se una unità fattuale può essere scomposta in fatti molteplici concatenati si presenta come un processo. Se i fatti che lo compongono si susseguono in una serie, uno di seguito all’altro, il processo appare sequenziale. Molteplici serie di fatti e molteplici processi possono essere collegati in un fatto sovraordinato che ha anch’esso il carattere di un processo che si compie in un tempo definito e in uno spazio delimitabile.
Tra i fatti noi siamo abituati a distinguerne certi ai quali concediamo il privilegio di essere “storici”. Diamo all’aggettivo “storico” una forte connotazione. Intendiamo usarlo come sinonimo di importante, di discontinuo rispetto a fatti ripetitivi o durevoli, capace di produrre effetti innovativi, di causare mutamenti. Attribuire ad un fatto la qualifica di “storico” è dire che esso è importante in sé e per sé e perciò meritevole di essere studiato, analizzato, compreso.
Se lo spogliamo della connotazione, possiamo concepire il fatto storico come equivalente a fatto del passato, assunto però dalla ricerca storica come oggetto del processo di ricostruzione, di analisi, di interpretazione, di problematizzazione e di spiegazione.
Da questo punto di vista, allora, fatto storico è un concetto pertinente alla storiografia e svolge per essa lo stesso ufficio che concetti quali “fatto sociale” svolge per la sociologia, “fatto antropologico” svolge per l’antropologia, “fatto astronomico” per l’astronomia ecc.
- Fatto storico: che cos’è
“Fatto storico” designa semplicemente il fatto del passato che viene promosso ad unità di analisi della disciplina storica. La sua importanza è funzione dell’analisi: se l’analisi è profonda, il fatto storico può essere importante sul piano cognitivo anche senza esserlo su quello effettivo.
Il fatto storico così concepito può coincidere con una unità fattuale effettiva che riconosciamo come particolarmente capace di produrre storia ma può anche essere una unità fattuale considerata banale, “non storica” (secondo la connotazione usuale), oppure può essere interamente costruito dallo storico con le informazioni su fatti disparati.
Un esempio del primo caso è il fatto storico “prima guerra mondiale” che apparentemente coincide come tema unitario con un fatto preciso che ha una unità distinta, facilmente riconoscibile e individualizzabile perché ha la propria collocazione sull’asse del tempo e nello spazio. Infatti precisi sono il suo inizio e la sua conclusione sicché l’intervallo di tempo in cui si compie è ben definito.
Un esempio del secondo caso è il fatto storico “la vita materiale dell’Occidente medievale”. Oppure si considerino fatti storici quali la “nascita del purgatorio” o “la paura nell’Occidente medievale” …: a quali “fatti” reali corrispondono? Essi sono costituiti dallo storico con la combinazione di pulviscoli di fatti…
Ma tra i fatti che lo storico può eleggere come suoi nuclei di interesse conoscitivo ci possono essere anche gli stati di cose (la civiltà egizia, la società inglese, l’antico regime ….) in un arco di tempo delimitato. Anche essi sono composti da innumerevoli fatti, ma essi sono minuti e ripetitivi, e non singolari come quelli che compongono i processi.
In ogni caso nessun fatto storico è un atomo irriducibile di realtà ma un costrutto costituito di molteplici fatti la cui combinazione è il risultato di un processo di conoscenza, perciò è importante conoscere le regole per la sua produzione. Il fatto storico non è conoscibile e non è analizzabile se non è fatto oggetto di costruzione. Questo è il concetto di fatto storico che fa procedere le operazioni cognitive e le operazioni pratiche dello storico. Esso gli apre un campo infinito di possibilità di individuazione di fatti da ricostruire e rendere così oggetti di analisi. E’ mediante il concetto di fatto storico che si conferisce unità ai frammenti informativi. Perciò dobbiamo considerare il fatto storico come un costrutto.
- Il fatto storico come costrutto
Dunque, lo storico sa che la ricerca storica deve mettere capo alla produzione di una conoscenza relativa ad un “fatto storico”. Egli sa che deve contribuire al patrimonio delle conoscenze con la ricostruzione del fatto e con la sua analisi ed interpretazione. Egli sa, perciò, che deve innanzitutto individuare un fatto pertinente al campo della ricerca storiografica in quanto riguarda aspetti delle attività umane del passato. Come ogni altro scienziato, lo storico deve costituire un referente della conoscenza, ritagliando sullo “sfondo” della totalità del passato un aspetto, un processo, un avvenimento, insomma una “unità fattuale” da costituire in figura sotto forma di “fatto storico”.
Il fatto storico non coincide sempre e solo con un avvenimento (La battaglia di Bouvines oppure La prima guerra punica), ma può invece coincidere con un aspetto di una società o di una civiltà o con un loro modo di essere (la condizione delle donne nel XIX secolo), può coincidere con un processo (la rivoluzione industriale) o con una tendenza (la rivoluzione dei prezzi del secolo XVI), può coincidere con un personaggio (Martin Lutero) con un gruppo sociale (l’aristocrazia inglese), con un modo di pensare (Il senso della morte…)
Qualunque sia il “fatto storico” che lo storico decide di fare oggetto della conoscenza, egli sa che esso è costituito di serie di fatti minuti sui quali deve produrre informazioni. I fatti reali si riducono a denominazioni e informazioni. Ma le denominazioni e le informazioni, per quanto numerose, non gli daranno mai conto di tutti i fatti che nella realtà del passato sono occorsi nella costituzione del fatto individuato. Affinché il fatto storico si costituisca lo storico deve connettere le informazioni relative ai fatti. Tali connessioni a volte sono obbligate (ad esempio un antecedente rispetto al suo proprio conseguente), ma nella maggior parte dei casi lo storico le deve ipotizzare. Egli si trova ad operare come chi volesse costruire un puzzle avendo solo un’idea vaga dell’immagine da costruire (il “fatto storico”), con un numero di pezzi insufficiente (le informazioni), e con pezzi che hanno perso o che mancano degli incastri (le connessioni). Non può che costruire una rappresentazione del “fatto storico”, immaginando (per inferenza) i pezzi mancanti e le connessioni plausibili. Alla fine la sua rappresentazione non avrà mai la capacità di restituire il fatto del passato così come effettivamente era o come effettivamente si svolse. Tuttavia può costruire una rappresentazione accettabile e controllabile grazie alla possibilità che egli fornisce di valutare la congruenza tra gli elementi della rappresentazione, le informazioni disponibili e le procedure delle connessioni. La rappresentazione è disposta in un testo storiografico e perciò il fatto storico può essere anche considerato un fatto storiografico. La struttura del fatto storico incide sulle operazioni che lo storico compie.
- Fatto storico e fatto storiografico
Il testo col quale lo storico comunica la conoscenza da lui costruita non restituisce il fatto storico reale, ma il fatto storico quale lo storico è stato in grado di costruire. Il rapporto tra la rappresentazione storiografica e il fatto storico non è come quello che intercorre tra la mappa e il territorio reale da essa rappresentato, poiché la rappresentazione storiografica ha col suo oggetto un rapporto ancora più problematico. Infatti il territorio per lo storico non esiste più e noi lo possiamo immaginare come un geografo che dovesse costruire una mappa solo sulla base di informazioni disparate e lacunose, senza avere mai la possibilità di verificare la congruità della sua immagine con il territorio reale.
Nel testo storico noi troviamo il fatto storico rappresentato, cioè troviamo un fatto storiografico. Il termine fatto storiografico, che non è d’uso comune nelle riflessioni metodologiche rivolte agli insegnanti, non è presente nel programma, non è usato in didattica della storia, tuttavia, è uno dei concetti che portano il segno del rinnovamento della concezione della storia del XX secolo. Esso fa piazza pulita dell’idea che esistano fatti storici in natura la cui individualità, articolazione e significazione siano oggettivamente dati e che lo storico non debba far altro che riconoscerli e ricostruirli tali e quali essi furono. Questa idea deriva da tre errori di prospettiva:
1) per tanto tempo gli storici hanno elevato alla dignità di unità di analisi fatti che sembravano avere effettivamente una delimitazione per così dire connaturata e indiscutibile, cioè un fatto iniziale e una fine precisamente riconoscibili (ad esempio le guerre puniche) e una sequenza di fatti costitutivi la cui concatenazione sembrava anch’essa obbligata;
2) il fatto storiografico fa diventare il fatto storico ricostruito disponibile per qualunque altro studioso che lo voglia assumere come oggetto di analisi, sicché esso sembra esistere già come referente della ricerca;
3) la storia generale, che ha generato la materia scolastica, si è configurata inizialmente e per lungo tempo come un catalogo di fatti storici già individuati e ricostruiti. Le unità di analisi sembrano preesistere alla ricerca. Dunque il ricercatore non ha da fare altro che scegliere nel catalogo: i fatti e le unità di analisi sono già date.
Quando invece ci troviamo di fronte a un fatto come quello eletto a oggetto di studio da P. Laslett (la struttura della società inglese durante il 600 ed il 700 in Laslett, 1979) allora comprendiamo che in quanto oggetto di conoscenza esso ha cominciato ad esistere quando lo storico gli ha dato vita con la sua ricerca e con il processo di costruzione: esso non esisteva nel catalogo precedente, non c’era nessun obbligo a racchiuderlo in quell’arco temporale e a costruire quella combinazione di informazioni che il libro ci propone.
- L’importanza della configurazione dei fatti
I fatti storici hanno tutti la stessa struttura? O cambiano configurazione a seconda dei loro scopi conoscitivi? Possiamo distinguere due categorie principali di fatti storici (che possiamo distinguere in “fatti storici-svolgimento” e “fatti storici-stato di cose”). La differenza essenziale riguarda la configurazione dei fatti che s’interpongono tra i due estremi. Nel caso dei fatti-svolgimento, lo storico li pensa come elementi di serie e anelli di concatenazioni; nell’altro caso, quello dei fatti-stati di cose lo storico li pensa come tasselli di un mosaico statico. Nel primo caso il fatto storico ricostruito si compone di serie di fatti, funzionali a costruire grazie alla loro coordinazione la risposta alla domanda “come si è passati dal punto di inizio (dallo stato di cose iniziale) al punto terminale (allo stato di cose finale) in quel contesto spaziale?”, nel secondo caso il fatto storico si compone di fatti funzionali a rispondere alla domanda “quale era lo stato di cose in quel tempo in quel contesto spaziale?”. C’è una terza possibilità. Nella costruzione della conoscenza lo storico può porsi entrambe le domande sicchè il suo fatto storico può comporsi sia di fatti-svolgimento sia di fatti-stato di cose, in modo tale da funzionalizzare la conoscenza degli uni alla migliore conoscenza degli altri. Ce ne offre un esempio Lucien Febvre nel libro Filippo II e la Franca Contea (Febvre, 1979) dove nella costituzione del fatto storico entrano anche i fatti che riguardano l’ambiente geografico e le istituzioni politiche, trattati nella prima parte nei capitoli intitolati Il paese e Lo stato della Franca Contea e le sue origini.
Le ricostruzioni – del processo e dei mosaici – risultano dalla capacità che ha lo storico di applicare operazioni cognitive per organizzare plurimi fatti, semplicemente denominati, e molteplici informazioni su di essi. Tali operazioni sono quelle di messa in relazione nell’organizzazione temporale, della loro messa in relazione per configurare mutamenti e/o permanenze, della classificazione di alcuni dei fatti secondo la categoria di evento. Infine il fatto storico prende rilievo grazie alla messa in rapporto con elementi che derivano dal presente in cui lo storico opera, perciò il rapporto tra il fatto storico e il presente fa parte della struttura della conoscenza storica.
- La struttura del fatto storico
L’unità di analisi dello storico può riguardare un aspetto che rimase stabile in un arco temporale definito oppure un fatto che si svolse in un tempo definito. Ad esempio il libro di Laslett intitolato Il mondo che abbiamo perduto. L’Inghilterra prima dell’era industriale (Laslett, 1979) è presentato come un “tentativo di delineare uno schema intelligibile di tutta una struttura sociale, quella inglese, in epoca precedente alla rivoluzione industriale” (Ibid., p. 7). Dunque il libro promette e offre non la rappresentazione di una dinamica, ma quella di un aspetto della società inglese concettualizzato con struttura sociale e considerato sostanzialmente permanente prima dei cambiamenti provocati dallo sviluppo industriale.
Invece un libro come quello di R.S. Lopez, La nascita dell’Europa. Secoli V-XIV (Lopez, 1966), istituisce a fatto storico il processo di formazione dell’Europa. Esso promette di fare oggetto della conoscenza una concatenazione di fatti, quella che porta l’Europa occidentale dallo stato in cui era nella dissoluzione dell’impero romano allo stato caratterizzato dalla genesi delle nazioni adolescenti.
Oltre tale dimensione tematica, la struttura del fatto storico è definita da due altre dimensioni: una è la delimitazione temporale, l’altra la delimitazione spaziale. Le tre dimensioni strutturali insieme con il punto di vista da cui il fatto è preso in considerazione sono espresse dalla tematizzazione del fatto storico.
- Fatto storico e presente
L’inquadramento del fatto entro i limiti individuati grazie ai fatti iniziali e a quelli finali è necessaria ma non sufficiente a fondare l’importanza del fatto storico e il suo significato. L’altra condizione per affermarli è che lo storico metta il fatto storico in rapporto con un sistema di riferimento (teorico, ideologico, valoriale…) e con i contesti. Perciò la struttura del fatto storico viene a comporsi di “situazioni e fatti iniziali, situazioni e fatti finali, significati dipendenti dal sistema di riferimento, relazioni con i contesti”. Senza alcuni di tali elementi la struttura del fatto diventa difettosa e il fatto storico è meno comprensibile.
Tutti gli elementi che danno senso al fatto storico (la rilevanza, i significati, le valutazioni, i nessi con altri fatti e altre serie, il rapporto con un sistema di riferimento teorico, valoriale, ideologico…) nascono dal processo di conoscenza che lo storico compie in rapporto col suo presente. Il rapporto col presente è, dunque, un elemento importante di costruzione del senso del fatto storico. Tutti gli elementi che compongono il fatto storico si trovano nel testo storiografico in modo da favorire la comprensione del fatto.
- La scala di osservazione del fatto storico
Fuori della cartografia, usiamo il termine scala in senso metaforico per intendere il rapporto che si stabilisce tra l’ampiezza del fenomeno concettualizzato e l’ampiezza spaziale della base dei dati su cui si esercita l’osservazione, l’analisi e la teorizzazione. Ad esempio, il fenomeno può essere “l’origine del feudalesimo” e la base di dati può essere costituita da un minuscolo villaggio. Così intesa, la scala è un elemento essenziale della tematizzazione insieme con la periodizzazione. Si veda come la precisazione spaziale del sottotitolo prepari il lettore a comprendere il limite delle ricostruzioni di un’opera come quella di G. Duby, L’economia rurale nell’Europa medievale. Francia, Inghilterra, Impero. Secoli IX-XV, (Duby, 1962). Il lettore sa che le generalizzazioni riguardano l’Europa centro-occidentale e, perciò, non i paesi slavi, né quelli mediterranei né quelli scandinavi.
La scelta dell’ampiezza dell’orizzonte di osservazione del fatto storico può determinare molti altri atti del lavoro storico: la individuazione della base documentaria, della storiografia di riferimento, delle alleanze disciplinari. La determinazione della scala più conveniente al fatto storico tematizzato è importante per capire quali siano le fonti più adatte e con quale intensità di lettura sfruttarle. Ma anche la ricostruzione, l’analisi, l’interpretazione sono funzioni della scala di osservazione. Uno stesso tema può essere sviluppato in modi diversi e con esiti interpretativi differenti a seconda della scala prescelta. Ad esempio, la microstoria viene caratterizzata come “una pratica innanzitutto basata essenzialmente sulla riduzione della scala di osservazione, su un’analisi microscopica e su una lettura intensiva della documentazione” (Levi, 1993: 113) che tale riduzione permette. “Il vero problema è la scelta sperimentale della diminuzione di scala nell’osservazione. La possibilità che un’osservazione microscopica ci mostri cose che prima non erano state osservate” (Ibid.: 115) a proposito di un fenomeno sociale o economico o politico.
Le potenzialità interpretative della varietà di scale spaziali a disposizione della conoscenza storica non sono state finora sfruttate dall’insegnamento: la scala spaziale nella storia scolastica è rimasta sostanzialmente immutata malgrado i progressi della riflessione su tale aspetto metodologico.
- La delimitazione spaziale del fatto storico
La scala spaziale dei fenomeni è un parametro di controllo della veridicità delle ricostruzioni e delle interpretazioni storiche. Ci sono fatti storici che possono essere compresi meglio se la scala è piccola (locale, regionale), ce ne sono altri che sono rappresentabili e comprensibili in modo più efficace se vengono proiettati su scala statale e altri su scala continentale o superiore (ad es., la formazione del sistema capitalistico). Ci sono fatti storici la cui rappresentazione può essere costruita meglio se si assume la scala mondiale come criterio di osservazione. La bibliografia storica include testi che ricostruiscono fatti storici con un’ampia gamma di scale di analisi, da quella piccolissima – ad es. il “villaggio oscuro” di Lournand, una “unità topografica” di poche centinaia di contadini ne L’anno Mille. Il mondo si trasforma (Bois, G.: 1991) – a quella mondiale, come nelle opere elaborate all’interno di quella corrente di studi che si chiama World-History (ad esempio, Wallerstein, 1978).
Dal punto di vista della qualità della conoscenza non è decisiva la scala e non c’è gerarchia che dipenda dalle scale. Un’opera basata sulle conoscenze costruite da un osservatorio a piccola scala può essere altrettanto importante di quella a scala regionale o a scala nazionale o a scala mondiale. Il rinnovamento e il progresso metodologico della storiografia è legato sia alle opere che trattano fatti storici a scala locale o regionale (come quelle di R. Baerhel, P. Goubert, Le Roy Ladurie, P. Vilar, Toubert, S. Pollard ) sia a quelle che hanno preferito la dilatazione del campo di osservazione come quelle di F. Braudel, di P. Chaunu, di K.N.Chaudhury, di I. Wallerstein che hanno studiato e descritto sistemi a grandi dimensioni.
- Scala spaziale e storia scolastica
La storia generale scolastica si è caratterizzata fin dall’inizio (nel corso dell’Ottocento) come sistema di fatti storici rappresentati a scala nazionale o europea e la preferenza esclusiva per la tali dimensioni è stata generata da motivi ideologici. Essa induce sia ad accettare la scorrettezza di rappresentazioni nazionali applicate a fenomeni occorsi su spazi regionali sia ad escludere dall’insegnamento le altre dimensioni come non adeguatamente formative (la scala locale) o impossibile da integrare nel curricolo (la scala mondiale). Occorre che il rinnovamento della storia scolastica si caratterizzi anche per la capacità di integrare molteplici scale di osservazione dei fenomeni. Infatti a volte il cambiamento di scala è decisivo per modificare l’interpretazione di un fatto storico. Ad esempio gli studiosi che hanno studiato la rivoluzione industriale inglese a scala nazionale hanno prodotto conoscenze che sono state messe in discussione quando uno storico come S. Pollard, ha affrontato le questioni privilegiando la scala regionale: “tutti gli studi tendono ad avere una cosa in comune: essi considerano la rivoluzione industriale britannica come un unico fenomeno nazionale. Una conoscenza più approfondita rivela che l’industrializzazione in Gran Bretagna, senza dubbio non fu un processo unico, ininterrotto e unitario, e ancora meno un processo diffuso su scala nazionale.[…] “L’assunto di questo capitolo è che l’interazione tra tempo, industria e regione costituisce uno strumento importante per la comprensione degli eventi storici in Gran Bretagna e del modo in cui l’industrializzazione si è diffusa nel resto dell’Europa. Poiché nel passato è stato trascurato l’elemento regionale, in questo capitolo esso verrà particolarmente enfatizzato” (Pollard, 1989: 19-20). La scala spaziale influisce anche sulla configurazione dei fatti
- La delimitazione temporale del fatto storico
Lo studioso può preferire di trattare il fatto storico nel lungo periodo, oppure in periodi meno lunghi o in periodi brevissimi: ognuna delle preferenze governa in modo diverso le operazioni cognitive. Ad esempio nel caso di Laslett (1979), l’epoca precedente alla rivoluzione industriale coincide in effetti con i due secoli XVII e XVIII, invece la delimitazione temporale preferita da Lopez (1966), è di una diecina di secoli. Le due scelte non obbediscono ad alcun obbligo né ad alcuna necessità scaturente dal fatto storico individuato. Sono i criteri interpretativi e argomentativi che portano a stabilire un punto di inizio e uno terminale del fatto storico.
I punti estremi inizio e fine del fatto e/o stato di cose iniziale e stato di cose finale – non possono mancare nè nei fatti storici che riguardano aspetti permanenti, nè – a maggior ragione – in quelli che riguardano svolgimenti: fissarli è per lo storico una delle condizioni per rendere intellegibile il “fatto storico”. Infatti lo storico fonda la sua intelligenza dei fatti da ricostruire su una duplice visione retrospettiva che si esercita dal presente verso il passato e dalla fine del fatto al suo inizio. La conoscenza di come va a finire il fatto e della differenza tra stato di cose iniziale e stato di cose finale è la condizione per poter selezionare i fatti costitutivi, per poterli comprendere, valutare e rivestire di significati e per connetterli in una trama. Se il punto di inizio e quello terminale sono vaghi e fluttuanti, allora selezione, comprensione, valutazione, significazione e tessitura dei fatti non si conformano a criteri coerenti, sicché la costruzione del fatto storico diventa difettosa.
Insieme alla delimitazione temporale il fatto storico deve ricevere, come abbiamo già visto, una delimitazione spaziale.
- La comprensione del fatto storico
La struttura del testo storiografico non riesce ad essere isomorfa a quella del fatto storico. Perciò la comprensione del fatto storico ha come primo passaggio la comprensione della struttura del testo storiografico. Essa è diretta a comprendere:
- a) come il testo mette il fatto storico in rapporto col presente e perché la conoscenza del fatto storico può dare strumenti informativi e cognitivi per capire qualcosa di più del presente;
- b) i significati che il testo attribuisce al fatto storico;
- c) il sistema di riferimento in rapporto al quale quel fatto storico è ritenuto rilevante e significativo;
- d) come il testo mette in rapporto il fatto storico col contesto o con i contesti;
- e) i limiti iniziale e finale assegnati nel testo al fatto storico come elementi fondanti il punto di vista che guida l’attività di ricostruzione e di significazione;
- f) in che modo il testo costruisce le relazioni dei fatti che sono connessi nel processo;
- g) in che modo il testo stabilisce le relazioni dei fatti che sono connessi nella rappresentazione dello stato di cose;
- h) il rapporto tra gli elementi fattuali e gli elementi significanti.
La struttura influenza la comprensione del testo.
- La comprensione del testo
Il compito di chi vuole acquisire una conoscenza storica è la comprensione del testo. Ma è evidente che la serie delle operazioni di comprensione può essere agevolata dalla struttura testuale. Un testo che espliciti con chiarezza la tematizzazione, che svolga il discorso della rilevanza e del significato attribuiti al fatto in modo da stabilire il rapporto del fatto storico col presente, che costruisca la rappresentazione del contesto (o dei contesti) in modo da far emergere il rapporto del fatto con il contesto, che segnali l’apertura e, in specie, la chiusura del fatto, che renda nitidi i legami che costituiscono l’intreccio è un buon testo storiografico e la sua trasparente struttura è una buona base per l’insegnamento e per il processo di apprendimento. Tanto meglio se la struttura si converte in una sequenza e articolazione tematica efficace.
Al contrario, la comprensione diventa più difficile se il testo è difettoso nella struttura e manca di esplicitare il rapporto del fatto storico col presente, di demarcarne la fine, di contestualizzarlo, di esplicitare i significati, di far emergere la logica dell’intreccio dei fatti. La lettura di testi così malformati e il loro studio è scostante, specie per i lettori inesperti. Testi così difettosi sono quelli che compongono spesso i manuali. E questo è uno dei motivi della “fuga dalla storia” degli scolari. Il rimedio può essere trovato costruendo testi strutturati diversamente, agendo con le risorse della mediazione didattica e organizzando il processo di apprendimento come processo di conquista della comprensione del testo per arrivare alla comprensione del fatto storico.
SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFICI
Laslett P., Il mondo che abbiamo perduto. L’Inghilterra prima dell’età industriale, Milano, (1979/1997 – 2 ed.), Jaca Book
Pollard S., La conquista pacifica. L’industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970, Bologna, 1989, Il Mulino.
Bois G., L’anno Mille. Il mondo si trasforma, Bari, 1991, Laterza. Una recensione del libro a cura di Giuseppe Sergi sulla rivista l’Indice dei libri n. 7 – Luglio 1991, pag.31.
Lopez R.S., La nascita dell’Europa. Secoli V-XIV, Torino, 1966, Einaudi
Duby, L’economia rurale nell’Europa medievale: Francia, Inghilterra, Impero, secoli XI-XV, Bari, 1962, Laterza.
Levi G., “A proposito di microstoria”, in P. Burke, a cura, La storiografia contemporanea, Roma-Bari, 1993, Laterza, pp. 111-134
Sulla microstoria un’interessante intervista a Giovanni Levi fatta da Guido Crainz, Gino Mas sullo e Giacomina Nenci nel numero 10 -1990 della rivista Meridiana
Sullo stesso tema una conferenza di Giovanni Levi presso il Centro Interuniversitario di Storia Culturale “A che cosa serve la microstoria?” – Padova, 11 aprile 2019
Wallerstein M., L’agricoltura capitalistica e le origini dell’economia-mondo europea nel XVI secolo, Bologna, 1990, Il Mulino
Per un primo approccio al concetto di economia-mondo si può leggere la voce redatta da Michel Rostan sul sito dell’Enciclopedia delle scienze sociali (1993) Treccani. La voce mette a confronto il concetto di economia – mondo formulato da Braudel e quello elaborato da Wallerstein. La voce è corredata da una ricca bibliografia sul tema.
Sulla riflessione metodologica relativa al fatto storico, tra i testi classici, si suggerisce Carr E., Sei lezioni sulla storia Torino, 1966, Einaudi. In particolare la prima lezione disponibile anche in rete.